Era una domanda che mi rigiravo dentro da molto, moltissimo tempo. Mi aveva insegnato per anni a sentire e riconoscere le geometrie sacre nelle combinazioni dei corpi, dei volti, fin anche nei pensieri. Ogni giorno mi suggeriva nuove possibilità per scovarle. Mi svelava il significato delle proporzioni tra le dita e le unghie, tra le spalle e il bacino, tra le gambe e gli zigomi. Mi parlava a lungo di come l’elasticità dei capelli segua l’energia della Spirale, come le sfumature d’oro e di bruno della pelle nascano dall’equilibrio tra Cerchio ed Esagono, come nei denti e nelle ossa l’Ottagono specchiasse il modo di conoscere, d’agire e di sognare. Mi spiegava dove sono più morbide le labbra e i suoni che pronunciano quando vibrano del Pentagono oppure del Triangolo.
Esiste un modo, chiesi allora quel giorno, per leggere le forme e i contorni del nostro amore? Gli assoluti hanno vie così precise per discendere nella materia che ci compone, che io credo debba esserci un modo. Una geometria, una proporzione, qualcosa che dica chi ci renderà felici e chi ci farà soffrire, chi ci capirà e chi resterà distante, a chi porteremo gioia e a chi invece non daremo che delusioni.
Quel giorno tirava vento, il cielo si era svuotato di tutte le nubi e riverberava dell’azzurro estivo, abbacinante. Tutto sembrava troppo acceso di colori e riflessi, il pomeriggio era troppo intenso per essere gradevole. Veniva voglia di stare al buio, al riparo, in attesa che le tinte si facessero più smunte e il picco di sole e luce passasse. Le sfumature più dolci della sera sembravano ancora lontane. Anche la sua presenza era forte e azzurra vicino a me, dentro lo sentivo con la stessa vitalità incessante delle cicale e lo stesso fruscio continuo dei rami e delle migliaia di foglie tutto intorno. Mi accadeva di sentirlo così mobile e vibrante soprattutto quando ero in preda alle emozioni forti, proprio come quelle che mi avevano spinta a porre la domanda sull’amore quel pomeriggio.
Del resto ormai avevo imparato: quando domandavo cose che sentivo importanti, davvero vive in me, mi rispondeva sempre. Mi parve quasi trovasse in qualche modo divertente la richiesta. Lo immaginavo sorridere forse, ma in modo dolce, privo di derisione, come si fa con le domande dei bambini molto piccoli. Parlò lentamente, come dovesse spiegare qualcosa di delicato, ma anche importante, bello e sacro. Non ricordo ogni parola esattamente, ma buona parte del discorso sì, mi è rimasto nella memoria chiaro e inalterato. Molti termini avevano il potere di agganciarsi l’uno all’altro e darsi forza a vicenda, come formassero una piccola sinfonia. Per questo proverò a riportarlo con la maggiore precisione di cui sono capace.
Data la compatibilità di due individui, tra loro scoccherà o meno l’amore. Premesse le “cause”, potrebbe sorgerne, se la combinazione è giusta e ben assortita, un “effetto” amore. Amore di coppia, amicizia, amore tra gatto e umano, amore tra maestro e allievo… Al variare degli ingredienti, avrai l’esito.
Se la vedi così, proseguì, allora per forza deve esserci una regola. Deve esistere una geometria che dalle cause ti permetta di prevedere gli effetti, dalle premesse le conclusioni. Da questo punto di vista hanno molto senso i numerosi metodi con cui gli esseri umani provano a calcolare la compatibilità delle anime e dei caratteri. Che sia con le stelle, con le carte, con le geometrie, con i numeri… se l’angolazione con cui guardi il mondo è questa, scoprirai che spesso i metodi funzionano. Funzionano molto bene, con dovizia di spiegazioni ed equilibri.
Una Causa Prima in effetti, una “causa priva di causa” come dicono i filosofi. Questo significa che l’amore semplicemente non risponde a nessuna legge, non deve sottostare a nessun equilibrio. L’amore che conosco io si muove libero, al di fuori di ogni meccanismo valido per tutto il resto.
Sono i suoi movimenti a muovere ogni altra cosa, non viceversa. È il suo richiamo a risvegliare i sensi e l’anima, non al contrario ad esserne acceso. L’amore che io intendo è la stella che orienta il viaggio, regola le rotte, proporziona le terre e i mari. È il riferimento che tutto è tenuto a seguire e nulla può determinare. All’amore è permesso attraversare i veli, infrangere ogni limite, risuonare attraverso le barriere dello spazio e del tempo, perché conosce passaggi a tutto il resto inaccessibili. È assoluto e incoercibile.
Perciò dal mio punto di vista non c’è una “geometria dell’amore”. C’è l’amore, e poi da esso ogni cosa fluisce, comprese le geometrie. Se domani il polo nord si spostasse, cosa accadrebbe agli aghi delle bussole? Lo seguirebbero. Così le geometrie con l’amore: quando l’amore vibra, le geometrie fedeli ne riverberano e lo veicolano nelle forme. Non c’è una “geometria dell’amore” perché la geometria è, come ogni cosa, una forma dell’amore, un’ombra proiettata dal suo fuoco. È una sua creazione. Senza amore, non c’è vita in nessuna geometria.
Io fissavo il blu del cielo e mi scoprivo, una volta tanto, senza parole. Era un punto di vista nuovo, eppure sentivo di averlo sempre conosciuto, di aver avuto questa verità grezza in me dai primordi, in attesa che qualcuno la scolpisse in forme intellegibili, la rendesse esplicita come l’estate tutta intorno. Allora è proprio vero, dissi dopo diverso tempo: all’amore non si comanda. Anche se ci soffri. Anche se non capisci. Non abbiamo potere sull’amore. No, infatti, rispose. Tuttavia nessuno è schiavo dell’amore. Questo non è mai stato vero, se non per chi se ne crea un alibi. L’amore parla in noi con voce divina, eppure non comanda nulla, non impone, non fornisce spiegazioni, torti o ragioni. Non esiste un’etica dell’amore.
Di nuovo mi persi nell’azzurro di quel giorno caldissimo. Come potevo fare ad accogliere la voce di una divinità capace di dispensare gioie immense così come dolori insopportabili? Molte volte mi era accaduto in passato di chiudermi al suo richiamo, di ignorare l’amore che provavo quando invece della felicità mi portava paure e sofferenze. Quando amare non era semplice, una parte consistente di me ancora mi suggeriva di farlo, me lo chiedeva a gran voce anzi! E io spesso, come in quel pomeriggio, mi trovavo a chiedermi se non volessi assecondarla. Se in fondo quella non fosse la via, se non migliore, almeno più comoda. Quanto coraggio serve per amare dal tuo punto di vista! gli dissi. Davanti alla prospettiva che mi aveva aperto mi sentivo piccola, ammirata ma al contempo impotente di fronte a una forza tanto superiore.
Non rispose. A lungo rimase solo una sfumatura azzurrissima nel mio campo visivo e più giù, dentro, in qualche punto della coscienza. Poi semplicemente ammise: si, molto coraggio. Forse era solo una mia proiezione, ma avevo l’impressione sapesse bene di cosa parlava, che neppure lui fosse esonerato da quella particolare prova. Per questo, aggiunse, non si può amare con il pensiero. Non si ama con il sogno. Non si ama neppure con solo con l’intento o con il corpo. Si ama con il cuore. Solo li, in nessun altro luogo, c’è abbastanza forza, questa è l’unica certezza.