“Non ho mai accettato davvero di vivere”… è incredibile quanto spesso abbia letto, ascoltato e anche pronunciato questa frase.
Si lega a un dolore profondo, profondissimo. Non ha a che fare con le difficoltà o i successi che conseguiamo, né con le circostanze o le persone… è più giù, più personale, più nel fondo di noi.
Se in qualche modo siamo arrivati a queste righe, sia io che voi sappiamo bene di che si parla. È uno stato che non si sceglie, non nasce a seguito di un trauma o una delusione: è piuttosto una costante sin da quando si ha memoria, forse addirittura congenita.
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Nulla accade per caso.
La famiglia, il giorno e il luogo dei nostri natali, gli amori e le affinità che incontriamo come appuntamenti concordati e riconoscibili, le ferite dell’anima che scegliamo di vivere e di cui far esperienza… ogni cosa nella vita risuona con precisione oltre l’umano, parte d’un mosaico enorme ed accurato.
Quella nostalgia struggente di casa -una casa a cui forse non sappiamo dare nome, ma che è vivida e reale in noi- è una guida fondamentale, imprescindibile per trovare l’orientamento in un quadro tanto vasto e complesso.
Quanto è delicata, questa nostalgia.
Basta un nulla per perderla. Basta una distrazione per cadere nel bisogno della mente di poterla spiegare, di assegnarne forse la colpa ai genitori, ai dolori che abbiamo vissuto, alla società. Basta poco per giudicarla, volerla eliminare, chiamarla con un nome differente e toglierle tutto il suo enorme potere.
La nostalgia non è il rifiuto di vivere, ma la ribellione a un vivere insensato, dimentico, limitato. Non ci invita ad arrenderci, ma al contrario ci scuote, ci impone di ammettere che c’è di più, che sappiamo esserci molto di più.
Possiamo seguirla.
Ascoltarla nel profondo e lasciare che ci racconti la vera priorità dei nostri desideri, il sapore autentico del nostro talento, che ci riporti il dolce profumo della terra dello spirito da cui da così tanto siamo partiti e che mai smettiamo di sognare.
La nostalgia è la prova che non ci siamo persi, che ancora ricordiamo la via del ritorno e la serbiamo in noi. È l’imperativo richiamo a scovarla e seguirla.
È speranza, anzi la certezza, che infine giungeremo.